Giallo

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Aveva la bocca secca e dentro quel casco faceva veramente un caldo insopportabile, opprimente. Si sentiva come un piccolo scarabeo, uno di quegli insetti con il guscio tutto nero che si trascinano sotto il sole. Erano passati venti minuti buoni da quando aveva iniziato a seguire la berlina metallizzata e la sua determinazione iniziava a vacillare. Era sempre più consapevole dell’errore che stava commettendo ma ormai era troppo tardi per tornare indietro ed era deciso, nonostante tutto, ad andare fino in fondo.
Tutta quella tensione lo stava logorando, è difficile mantenere la concentrazione e controllare quell’aggressività che tratteneva da quando era salito in sella, pronto ad esplodere da un momento all’altro. Gli sembrava di sentire il suo cuore battere dentro quel maledetto casco, superando i rumori del traffico perfino del motore sotto di lui. Quest’ultima impressione era così forte da fargli credere che se non fosse morto di lì a poco ci avrebbe pensato la pressione del sangue a fargli scoppiare qualche vena nel cervello. Non poteva far altro che focalizzare la sua attenzione su quell’auto.

“AX331PZ”.

Nonostante non avesse mai interrotto il contatto visivo con quella targa, che continuava a rileggere ossessivamente ed aveva ormai imparato a memoria, si sentiva sempre più distante. Anche la lucidità stava diminuendo con il tempo: sentiva ovattato, la visione periferica sfumava, anche a causa del casco, e gli sembrava di avere ogni estremità del corpo intorpidita come in un sogno. Anche questo pensiero lo aveva sfiorato ma a riportarlo immediatamente alla realtà c’era il peso che sentiva stretto tra la cintura e il suo addome, il metallo freddo che premeva sulla pelle, sotto la maglia. Non poteva vederla ma era lì, si sentiva ed era il chiaro indizio che quella volta faceva sul serio. Lo avrebbe ucciso il bastardo, lo avrebbe ucciso come si meritava.

Quella zona della città la conosceva bene: un quartiere residenziale con strade spaziose che incasellavano gruppi di villette a schiera, confezionate con una grande considerazione del verde, tutto molto ben curato. Le case erano molto belle e non erano in molti a potersele permettere. Poche persone in giro soprattutto a quell’ora, una vera fortuna. Infondo non gli era andata affatto male, considerando che era stato molto impulsivo e la decisione di passare all’azione era stata quasi immediata. Cercava disperatamente di autoconvincersi che a quel punto preoccuparsi delle conseguenze non aveva più senso, voleva pensare che la sua vita stava convergendo inesorabilmente verso uno scopo, ma in cuor suo sapeva che non era così. Continuava infatti a ripetersi che se proprio avesse dovuto commettere un omicidio perché vedersi negato il vantaggio di scegliere dove e quando premere il grilletto! Prese un momento per respirare. Decise di sollevare la visiera, ora non c’era più il vento che fino a poco fa lo stava sferzando. Il suo bersaglio era fermo al semaforo, a separarli solo un paio di auto poco distanti tra loro. Aveva a disposizione ancora qualche minuto per riflettere, l’equivalente di un paio di curve.
Quello non era il suo modo di agire e sapeva che poteva sicuramente fare di meglio. Quando l’adrenalina scorre a fiumi nel corpo siamo in grado di pensare alla velocità della luce e si stava aprendo in quel momento un nuovo scenario.
Chiunque l’avesse conosciuto l’avrebbe descritto come una persona precisa, puntuale, una mente da calcolatore, un osservatore con il sangue freddo ed era sicuro che fino a quel momento non gli era mai capitato di perdere la testa in quel modo. Ma cosa stava facendo? Si era lanciato all’inseguimento di un uomo come se fosse una battuta di caccia, si sentiva una bestia che braccava la sua preda con la bava alla bocca, cieco di rabbia. Stava realizzando in quel momento che l’omicidio è come un figlio, che come tale ha una madre e un padre: la vittima, che trasmette il movente mentre dal carnefice eredita il modus. Quel modo di muoversi non gli apparteneva, non poteva corrispondere al suo profilo: era troppo intelligente per ammazzare come un camorrista o come chi commette un delitto passionale. No, agire di impulso non era proprio nelle sue corde. Forse però era troppo tardi.

Verde.

Gli sembrava di avere le idee sempre più confuse, cominciava a dubitare seriamente di riuscire. Mentre la macchina che stava seguendo inseriva la freccia a destra, segno di essere chiaramente arrivati a destinazione, prese la sua decisione finale classificando tutti i suoi dubbi e le sue riflessioni precedenti come un frutto della paura e si convinse ad andare fino in fondo. Si apre la portiera ed è come se il tempo rallentasse. Giù la visiera, una volta sceso dalla moto il corpo è un fascio di nervi tesi, le tempie pulsano e nelle orecchie un ronzio cresce mentre si avvicina alla sua vittima. Ormai non è neppure più in grado di pensare, nella sua testa sfrecciano solamente sensazioni, imperativi ed istinti animali. L’uomo di fronte a lui è un signore distinto in abito gessato che cammina sul marciapiede e adesso è così vicino che può sentire il suo respiro. A questa distanza ormai non è più un bersaglio è una persona vera, è proprio lui. Accelerando il passo gli arriva finalmente addosso, la mano sulla pistola ed è arrivato il momento: sta per prendersi la vita di un uomo e deve solo decidere se premere sulla nuca o sul cuore, sulla nuca o sul cuore.

“Cazzo non così!”

Non era stato in grado di agire e aveva mancato l’attimo. Una valanga di disperazione, ansia e paura lo investe immediatamente. Non gli restava che nascondere goffamente l’arma sotto la giacca e allo stesso tempo recuperare l’equilibrio dopo essere letteralmente inciampato sul bersaglio. Era riuscito a non cadere e riprendere il passo superando l’uomo che nel frattempo lo stava ricoprendo di insulti per la spallata ricevuta che lo aveva scaraventato a terra. Testa bassa, non faceva che chiedersi se fosse stato riconosciuto. Ma il casco integrale lo aveva evidentemente salvato. Mentre si allontanava con il passo svelto, scemava la tensione trasformandosi rapidamente in rabbia. Si sentiva come percosso da una verga, con forza e scoppiò in lacrime sotto al peso della vergogna, per non essere riuscito a compiere un quell’atto di giustizia. D’altra parte sapeva, era certo, che tutto quell’odio e quell’amarezza dentro di lui sarebbero stati presto convogliati, sarebbero presto stati raccolti.

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