Ceci n’est Pas Una Pipe

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Un giorno, sopraffatto dalla nostalgia per il suo vecchio, venuto a mancare qualche anno addietro, Pier si mise a cercare la pipa del nonno. Quella vecchia conoscenza era una presenza costante durante le afose, giornate estive della sua infanzia. La casa dei nonni al tempo era riempita solamente d’aria umida e stagnante, d’ozio e dal rumore dei ventilatori.
Il vecchio sprofondava nella sua poltrona, sempre imbronciato, mentre cercava l’accendino massiccio e si asciugava la fronte. Il suo viso segnato dal tempo e da un’educazione severa si rilassava solo accendendo quella vecchia pipa, Pier se lo ricordava bene.
Ogni volta che il vecchio aspirava il ragazzo lo sentiva affaticarsi, e il suo cuore rallentava per dare vita alla pipa che bruciando si alimentava della salute del vecchio. Quella puzza di fumo gli era rimasta impressa ed era arrivato il momento di riesumare quel ricordo. Quello che voleva Pier era mettere l’inseparabile compagna di suo nonno sul tavolo per fargli qualche domanda.

Quando il vecchio era frustrato c’era infatti lei a calmarlo, se qualcosa gli dava da pensare, come a Pier in quel momento, lei si accendeva. Ogni densa fumata bianca che ne usciva racchiudeva le domande e le risposte, in una conversazione muta, tra un uomo introverso e taciturno e la sua confidente. Con lei si che ci si poteva confessare.

Insieme alla carica si consumava anche il vecchio. Pier ricordava anche l’ultimo giorno in cui lo aveva visto: lottava tra la vita e la morte attaccato ad un respiratore. Anche se i farmaci lo avevano stordito quell’agonia sembrava difficile da sopportare. Al ragazzo sarebbe sempre rimasto il dubbio se il vecchio fosse stato cosciente quando in piedi davanti a lui stringeva i pugni per non tremare di paura. Solo una lacrima, solcandogli la guancia, aveva tradito il vecchio in quell’occasione. Nei suoi occhi vitrei si leggeva infatti una triste consapevolezza: sapeva che quella era l’ultima volta che avrebbe visto suo nipote. Se solo ci fosse stata la sua fedele compagna al capezzale: quella pipa di legno profumato che aveva reso sua nonna vedova, l’unica amante con la quale il vecchio l’aveva tradita fino all’ultimo.

Qualche anno più tardi Pier aveva iniziato a fumare. Seduto nella veranda di casa, quando tutti si erano coricati e il silenzio notturno avvolgeva le strade, il ragazzo di nascosto sperimentava lo stesso piacere perverso. Mentre si abituava al sapore del fumo Pier instancabilmente si arrovellava cercando di indovinare da quale nascondiglio avrebbe potuto stanare la pipa. Probabilmente l’avrebbe trovata in qualche polveroso cassetto dove la nonna doveva aver seppellito quella scomoda rivale. Ci pensava spesso Pier, convinto che quell’oggetto inanimato avesse tutte le risposte ai quesiti che condensavano dal fumo delle sue sigarette.

Alla pipa, ad esempio, avrebbe voluto chiedere come aveva conosciuto il vecchio. Poteva solo immaginarselo. Il nonno aveva iniziato da giovane, magari tra gli orrori della guerra. E come poteva biasimarlo se in quegli anni di paura e di incertezza avesse incontrato il piacere del fumo. Che peso si poteva dare mai ad un vizio che ti avrebbe accompagnato per il resto della vita in un periodo dove non si aveva neppure la sicurezza di riuscire ad invecchiare? E poi all’epoca non si sapeva neppure che facesse male.
Accendendosi un’altra sigaretta il ragazzo portava alla luce tutte le storie che aveva sentito. Una volta si fumava in casa, qualcuno sosteneva persino che disinfettasse l’aria. Pier sorrise al solo pensiero. Adesso però si sentiva stupido perché anche sapendo, anche sapendo che tra le mani teneva una mina letale aveva comunque deciso di tirarne la linguetta. Perché?
Il nonno aveva combattuto, aveva rischiato la vita lasciando casa per salire sulle montagne e all’epoca era appena un tenero adulto. Cosa importa se dopo anni soffocherai nel sonno, cosa ti importa se porti i messaggi per la resistenza e il tuo paese è stato occupato. Eppure è andata proprio così: non è stato il nemico a raggiungerlo. Ci sono voluti anni ma insieme alla carica nella pipa, lentamente come aveva scelto, si erano consumate le forze del vecchio.

Sfilando un’ultima sigaretta dal pacchetto Pier si tormentava ancora, furioso con sé stesso, chiedendosi cosa lo avesse spinto a cadere in quella trappola. Non riusciva a spiegarsi perché aveva sentito il bisogno di provare.
Come aveva potuto iniziarsi a quel morboso rituale? Lui, che quel male lo aveva visto da vicino, toccato con mano si può dire, quando la pipa gli aveva sottratto persino l’affetto del vecchio. Eppure provava un gran gusto quando si accendeva la brace, un piacere proibito che proprio non riusciva a negarsi. Agli occhi di Pier quella pipa era il serpente della Genesi. Gli aveva infatti consegnato tra le mani il frutto del peccato, così sbagliato e così dolce al contempo.

E in quel momento la pipa con sua grande sorpresa rispose. Pier ascoltava atterrito una voce risalire dal più oscuro antro della sua coscienza:

“Ogni volta che liberi le mie nuvole grigie, quando ascolti il tabacco crepitare e trasformarsi in cenere grazie al tuo respiro, io vivo! E amico mio, per questo io ti ringrazio, per questo io appago le tue pulsioni: quel desiderio di distruggere che reclami a gran voce dal profondo dell’animo. Questa è la forza nel mio legno. Io muovo le passioni più forti, io sono Tanato e per ogni uomo rappresento la volontà di divorarsi che emerge dall’abisso. Io sono il bisogno che senti, ogni volta che ti riempi il petto con il mio veleno, di avvicinarti all’attimo in cui esalerai l’ultimo sospiro dal corpo”.

Questo rispose la diabolica pipa nel silenzio della veranda:

“Ragazzo, vuoi sapere perché mi accendi? Abbraccia la morte con me e ancora una volta contesteremo insieme questa vita”.

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