Cielo Blu

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Era immerso, come al solito, in un esercizio di equilibrio: un costante spostare appuntamenti, impostare sveglie e organizzare mentalmente le sue giornate. Tutto questo mentre reggeva la spesa e al contempo, con la mano destra, cercava le chiavi nel cappotto. La porta del suo appartamento, chiusa di fronte a lui, rappresentava l’ultima erculea fatica con la quale avrebbe dovuto misurarsi per concludere il delirante affanno quotidiano.
Rimase stupito quando pizzicò in fondo alla tasca qualcosa di inaspettatamente viscido, qualcosa di sgradevolmente tiepido e appiccicoso al contempo, come un fondo di colla densa che gli rimase incollato sulla punta delle dita. Si accorse così dell’insoddisfazione. Una grave pozza di infelicità accumulata che stava effettivamente gocciolando sulla veste intera. Azzurro scuro, quasi grigio proprio come gli era stato sempre descritto, un’inarrestabile emorragia che trasudava dal suo stesso corpo. Cosa fare? Non riusciva a ricordare una sola parola dei seminari, nessuno dei discorsi usciti dalla confessione di qualche collega imbarazzato, niente! Neppure qualche strascico delle conferenze con lo psicologo che si tenevano a scuola ai tempi del liceo. Immerso in quel liquame c’erano ovviamente anche le sue chiavi ma non avrebbe potuto certo scappare in casa chiudendosi tutto alle spalle.
Si sarebbero presto accorti di lui. Gli sembrava appunto giusto di sentire in quel momento una presenza entrare nell’androne del palazzo. Fosse anche solo la vecchia zitella del terzo piano, che vergogna avrebbe provato a farsi trovare in quello stato. Lui con la sua vita piena di successi, con la sua felicità sbandierata a tutti, quel sorriso che ogni mattina spalancava insieme alla porta del palazzo a quella vecchia. Il profilo vincente, creato con cura, si sarebbe rivelato solo un’immagine, un’impressione superficiale. Questo è quanto suggerivano le macchie estese che portava in grembo. In effetti non lo suggerivano, lo urlavano! Gli stavano sbattendo in faccia quella verità inaccettabile: si era ritrovato un giorno semplicemente così … infelice, senza attenuanti.
Non c’era nulla da nascondere, questo ripetevano tutte le migliaia di campagne di sensibilizzazione del ministero. Magari fosse vero. Proprio quella mattina l’aveva notato: il vuoto di persone che si era creato in cabina quando dentro al treno era entrato un impiegato neanche lontanamente macchiato quanto lui. Era bastato qualche alone mal smacchiato ma inconfondibile, un umore plumbeo che si porta dietro anche in guarigione. Anche lui si era scansato. Provava vergogna e adesso ricordava persino il pregiudizio che lo aveva letteralmente spostato: “sarà contagioso?” Ironico che proprio in quel momento mentre versava in quel disagio si rendeva perfettamente conto della sciocchezza, dell’assurdità di quell’idea.
Sentiva ora i passi salire al primo piano. Rimanere bloccato dal panico un’altra ventina di secondi significava scegliere una vita da emarginato. Si tolse allora il cappotto e lo posò in terra usandolo come strofinaccio, asciugando alla meglio la pozza di umore appena pianto. Sentendo che mezza rampa di scale lo separavano da una carneficina sociale decise di nascondere quello che era diventato il suo straccio nel vecchio porta ombrelli che teneva proprio di fianco all’ascensore. Con un ultimo scatto salì la rampa per sottrarsi alla vista del vicino che se lo avesse sorpreso in quello stato avrebbe certamente notato i vestiti imbevuti in quel modo.
Secondo piano.
Terzo.
Le scale sarebbero presto terminate: arrivato al quinto piano del palazzo non ci sarebbe più stato modo di nascondersi. E se il vicino fosse proprio l’inquilino dell’interno 5?
Quarto piano.
Con immenso sollievo sentì interrompersi la marcia. Adesso avrebbe soltanto dovuto aspettare in silenzio. Accucciato contro il parapetto sentiva la vescica stimolata, come quando da bambini si giocava a nascondino. Uno scatto di serratura lo avrebbe presto liberato da quell’infernale rientro a casa. Pensandoci bene il suo incubo in realtà era appena iniziato. Accantonata l’emergenza avrebbe dovuto misurarsi con il motivo del suo cielo blu. “Hai fatto cielo!” così si diceva quando nella vita avevi perso l’interesse per tutto, espressione curiosa. Iniziava ad abituarsi al rientrato pericolo, rimise a fuoco i suoi pensieri: le prime riflessioni sulla causa della sua depressione sorgevano spontanee. Sentendosi abbastanza sicuro, pianificava di tornare di sotto, ma voltandosi si accorse che qualcuno lo stava osservando.
Fu una doccia fredda. Una ragazza lo stava guardando in piedi dalla soglia del suo pianerottolo. Da quanto tempo? Pensò a difendersi ma era muto, il suo imbarazzo troppo esplicito, troppo a nudo per dissimularlo. Il dialogo era affidato agli sguardi: si incrociarono prima sulle mani di lui che sollevate per la sorpresa dal parapetto lasciarono due impronte intense, poi sul suo addome azzurro, poi la pozza ai suoi piedi. Si sentiva come se si fosse pisciato addosso quel blu, umiliato nel cortile della scuola come nei sogni peggiori e infine accadde l’impensabile.

“Posso insegnarti, se vuoi”

Prendendolo per mano lei lo trascinò all’interno

“Insegnarmi cosa?”

“A piangere”

“Nessuno ha più bisogno di piangere, da migliaia di anni”

Il pianto era un meccanismo di difesa tramandato nella storia. Una tecnica preistorica di cui tutti avevano sentito parlare. Esistevano persone che in passato morivano di depressione. Letteralmente. L’infelicità è stata per l’uomo un problema serio. Alcuni soggetti si vedevano costretti ad assumere farmaci, nei casi più estremi alcuni individui si tolsero la vita. Il sanguinamento azzurro è stata una risposta evolutiva che ha permesso all’uomo di sopravvivere. Un cambiamento anatomico che si è interposto tra l’uomo e la sua tristezza. Una membrana, una vera e propria barriera emotiva che ci protegge dalla nostra stessa psiche. Questo lo sapevano tutti. Quello che invece era noto a pochi era come salvarsi quando il tessuto si rompe. Quando ci si macchia è ora di un cambiamento, radicale! In realtà sono in pochi a salvarsi dopo qualche mese di cielo blu. Ma allora qual è il vantaggio? Ovviamente il benessere superficiale della maggior parte delle persone. Generalmente la barriera regge e anche abbastanza bene: sono pochissimi i casi dove si soffre in maniera così toccante. Lo 0.08% degli individui soffre un episodio di blu durante l’arco della sua intera vita. Solamente otto persone ogni dieci mila soggetti vivono un’esperienza emotiva così reale che è in grado di logorare l’organo interno. La scomparsa di questi soggetti particolarmente … sensibili era il prezzo da pagare per preservare la salvezza di molti che potevano trascorrere un’esistenza serena o perlomeno credere di essere felici. Nessuno in realtà poteva conoscere il proprio reale stato di soddisfazione. Solitamente alcuni comportamenti sembravano prevenire l’emorragia azzurra, bastava seguirli per non dover scoprire cosa si agitava realmente dietro allo stomaco. Andare al cinema, comprare un telefono nuovo, avanzamenti di carriera. In passato le crisi più profonde erano innescate quando ci si poneva di fronte a interrogativi pesanti su come essere profondamente, intrinsecamente soddisfatti. Si pensa che in verità fossero proprio in pochi a sfuggire alla morsa di ansia, angoscia e depressione prima che tutto questo fosse semplicemente cancellato dal tingersi d’azzurro.
Tornando al pianto, perdendo gradualmente la loro funzione i condotti lacrimali si persero rapidamente nelle generazioni blu. Chiaramente anche il pianto di gioia o di paura scomparirono con l’introduzione del nuovo meccanismo fisiologico, piccoli effetti collaterali del distacco emotivo.

“Secondo me tu hai bisogno di piangere, non senti di doverti liberare di qualcosa?”

chiese lei con dolcezza mentre cercava in casa dello spirito

“È solo un momento, non mi è mai successo prima”

“Quindi pensi che la tua ferita emotiva guarirà da sola e che tra un istante tornerà tutto come prima … lo credi veramente?”

Lei gli porse uno straccio fresco appena imbevuto nell’alcol
Lui avvolse le mani sporche nella pezza con lo sguardo ancora fisso a terra dove, per quanto si sforzasse, non trovava la forza di rispondere al tono così mite con il quale lei lo stava facendo a pezzi.

“Non è nulla, ho solo bisogno di un po’ di riposo. Potrebbe capitare a chiunque, lo sai? Potresti soltanto non dirlo in giro?”

“Se è una cosa così comune perché te ne vergogni tanto?”

“Io non …”

Si interruppe. Lei gli tolse la felpa e la lasciò cadere a terra dicendo:

“Io non voglio spaventarti, non voglio umiliarti, non voglio costringerti, giudicarti. Vuoi tornare a casa tua? Vuoi provare a chiuderti la porta alle spalle sperando che tutto rimanga sigillato all’esterno? Sei libero!”

Poi avvicinandosi a lui lo costrinse al tanto temuto contatto visivo

“Almeno togliti questi vestiti e fatti una doccia, vuoi davvero farti vedere in giro in questo stato?”

Solo ora costretto, doveva ammettere che uno sguardo così intenso lo aveva sfiorato poche volte. Verdi o castani? Non avrebbe saputo scegliere neppure guardando dritto in quei grandi occhi meticci. Non era tuttavia il colore a renderli così invitanti: la porosità dell’iride, soprattutto la parte più scura, gli ricordava la superfice del pianeta rosso, di Marte. Vedendolo titubante ma sul punto di accettare lei aggiunse:

“Posso darti dei vestiti puliti del mio compagno. Ti lavi, ti vesti e sparisci al piano di sotto proprio come vuoi tu. Vorrei aiutarti veramente ma se non vuoi non posso certo forzarti”.

“Vada per la doccia, non ho bisogno di altro, grazie” Rispose secco.

Si lasciò accompagnare e prese poi dei vestiti puliti facendo molta attenzione a non contaminarli toccandoli. Alcune parti del suo corpo non avevano smesso di grondare il fluido corporeo neppure per un secondo: un flusso lento ma costante di frustrazioni accumulate dietro a una facciata di spensieratezza.
Trasportata dall’acqua calda la tinta si dilavava dal suo corpo trascinando con sé anche le impressioni di quello strano incontro. Avrebbe dovuto riflettere sul suo versamento, avrebbe dovuto cercare una risposta che avrebbe potuto salvargli la vita ma, senza logica alcuna, non riusciva che a concentrarsi sullo sguardo di lei. Per quanto si sforzasse ricordava solamente qualche breve riunione di condominio insieme. L’aveva vista sempre insieme al suo compagno, sempre sorridente, forse anche troppo sorridente ma sembrava infondo una coppia felice. Riflettendo meglio anche lui sembrava felice fino a un’ora prima. Inaspettatamente quelle due riflessioni iniziavano a convergere verso un solo punto. Una bella, giovane donna, seducente al punto da distrarlo dai suoi incubi blu abitava tre piani sopra di lui e non sapeva neppure come si chiamava. Sentiva le due idee collimare con la potenza di due treni lanciati sui binari uno contro l’altro. L’attrazione che era riuscita a esercitare una sconosciuta lo stava turbando. Non si parlava di attrazione fisica, nonostante lei fosse appetibile anche sotto quel punto di vista, ma si rese conto che aveva voglia di conoscerla sul serio, aveva voglia di chiederle come era possibile avere degli occhi così castani e un così verdi allo stesso tempo, se fosse una cosa normale, aveva voglia di sapere se era veramente felice quando sorrideva al suo uomo, voleva sapere perché sapeva piangere e dove aveva imparato. Il tasto più profondo che si stava scoperchiando nella sua coscienza era una domanda: dove aveva nascosto tutto questo interesse per gli altri in tanti anni di indifferenza? Un interrogativo così semplice stava in quel momento sfondando una diga di dubbi. Aveva vissuto con i paraocchi? Perché non si era mai fermato sul pianerottolo per chiedergli come stava? Cosa poteva averlo impegnato al punto di negarsi un contatto umano che gli sarebbe costato una manciata di minuti? Guardandosi i piedi nudi un rivo azzurro scorreva sul fondo della vasca come il sangue scorre da una ferita aperta. Forse quel giorno non sarebbe arrivato se avesse conosciuto davvero qualcuno come voleva conoscere in quel momento quella ragazza, il suo compagno o il suo collega a lavoro oppure la vecchia signora del quarto piano. In breve si rese conto che in quel momento non conosceva infatti proprio nessuno. Senza accorgersene si era trasformato in una radiosveglia, come quella che teneva in camera sua sul comodino: orari e appuntamenti, la sua vita era solo una lista di cose da fare. Spesso in quella lista doveva anche incontrare persone ma tutto ciò che lo teneva occupato, soprattutto per quello che riguardava i rapporti interpersonali, era caratterizzato da un livello di superficialità che solo adesso vedeva per quello che era: scorza di vita. Nel relazionarsi con gli altri non aveva scalfito che lo strato più esterno delle loro esistenze, si era fermato alla buccia. Tristemente prese atto di non aver mai approfondito né una gioia né una sofferenza di chi aveva avuto intorno.

Nonostante la massima cura, non riuscì a risparmiare l’asciugamano dalla sanguinolenta scia che ancora lasciava il suo corpo. Non avrebbe salvaguardato neppure l’integrità dei nuovi vestiti se non fosse stato per una garza, comparsa sopra di essi solo dopo la doccia. Evidentemente Lei premurosa l’aveva lasciata lì durante il suo bagno. Sapere che un momento prima poteva averlo osservato nella sua intimità, senza che se ne fosse accorto, gli fece provare una sensazione strana. Non era sicuro di provare disagio, forse più semplicemente si era disabituato alla presenza femminile. Infilandosi i vestiti del compagno di lei questo umore si accentuò, si sentiva letteralmente nei panni di un altro: in fondo era a casa sua, con la sua camicia, solo con la sua ragazza. Cosa avrebbe pensato al suo rientro? Avrebbe persino potuto credere di aver scoperto un amante se non fosse che nessuno avrebbe mai scelto di tradire sotto un cielo blu. Era decisamente più preoccupato per la reazione che avrebbe suscitato la sua condizione. Anche lui sarebbe stato così generoso? Lo avrebbe accolto, protetto, avrebbe mantenuto quel segreto pietoso come inspiegabilmente stava facendo la sua compagna?
Percepiva la taglia di lui poco più larga, poteva persino sentirne l’odore, un profumo di estraneo che però non gli dispiaceva. La fragranza gli riportava alla mente quell’uomo ed era tempo che non vedeva il suo vicino, erano mesi. Pensandoci bene non ricordava proprio nulla di lui nelle ultime settimane, neppure il saluto sul viale di casa. Chissà. Quest’ultimo pensiero lo costrinse a tornare ancora una volta al punto di partenza: la sua vita perfetta era una cella di isolamento sociale, per di più autoimposta.

Nel frattempo si era appena vestito. Solitamente in casa sua si sarebbe preparato in camera, di fronte allo specchio perché odiava l’umidità che rimaneva nell’ambiente dopo la doccia ma quel giorno ad onor del vero non gli importava di nulla. Uscì.
Lei lo stava aspettando su un divano nero, leggeva la scaletta di un vinile dalla copertina molto vivace distesa con i capelli liscissimi che riposavano sul cuscino di pelle nera. Sentendolo arrivare posò il disco.

“Potresti ringraziare …”
che imbarazzo! Non ricordava neppure il nome del suo compagno

“… Il tuo ragazzo”

Lei assunse un’espressione tesa, carica di aggressività e rabbia. Anche senza averle mai viste era comunque in grado di riconoscere certe emozioni. Crescevano ora sul volto di lei inconfondibili e spaventose, forti e primordiali.

“Ma stai scherzando?”

lui non capiva e questo sembrava alimentare sempre di più la reazione violenta di lei. Era evidente che doveva dire qualcosa per sottrarsi a quel silenzio devastante ma era impantanato di fronte a quell’accusa. Si reggeva in piedi premendosi la garza sullo stomaco come un soldato convalescente. Per sottrarsi non aveva che il senso di pietà che poteva suscitare nel prossimo, provò quindi ad abbozzare delle scuse.

“Mi dispiace”

“Ti dispiace, di cosa?” Furiosa.

“Non saprei”

Disse sprovvisto di altre risposte. Lei rimase di ghiaccio, esterrefatta. Tutto il fuoco acceso sul volto di lei si era spento in un respiro. Anche la voce le usciva ora spezzata dallo sconforto ed incredula.

“Ti ho chiesto di donare il sangue tre mesi fa’, l’ho chiesto a tutta la scala quando è stato operato. Mi hai risposto che ci saresti andato. Il mese scorso mi hai fatto le condoglianze, due settimane fa hai persino detto che saresti voluto venire a trovarlo se solo avessi avuto il tempo. Ovviamente nessuno ti ha mai visto in ospedale”

Era scivolato in coma, il ragazzone del quinto piano era in coma. Denti bianchissimi, accento del sud, taglio degli occhi serio, responsabile. Una leggera gobba sul naso era il piccolo difetto che tuttavia donava al contempo a queste persone un’espressione buona e gentile. Tornata alla memoria anche la sua passione sportiva: lo incontrava spesso con il borsone quando tornava sudato a metà mattinata dopo un improbabile allenamento. Era come se nel suo cervello un piccolo setto avesse mantenuto in un compartimento stagno tutti questi dialoghi che facevano da contorno alla sua vita. Che vergogna provava adesso confrontando il dolore di quella ragazza con la sua tinta blu. Ora come ora gli sembrava che la sua emorragia azzurra a confronto fosse una pennellata in un quadro d’artista. Lei così innamorata, lui così solo. Avrebbe volentieri fatto a cambio con il suo tormento.
Nel frattempo lei si era avvicinata, ed era proprio di frante a lui quando sradicandolo bruscamente dai suoi pensieri chiese:

“Sai perché tutto questo è iniziato?”

Puntava il dito contro una piccola macchietta blu cresciuta al centro del cotone bianco. Tra pochi minuti avrebbe già dovuto cambiare la garza, possibile?

“Non farei mai a cambio con te, provo pietà per te. Preferisco mille volte la perdita che ho subito piuttosto che svegliarmi un giorno con l’addome umido e scoprire di essermi lasciata scivolare la vita di dosso. Davvero ti compatisco”

Quest’ultima frase lo colpì perché era spaventosamente vicina ai suoi pensieri e per un attimo pensò di averli rivelati.

“Non sono così ingenua, non ho mai pensato che la nostra storia ti avesse toccato ma non riesco a capire come sia possibile condurre un’esistenza tanto isolata, dissociata ai limiti del contatto con la realtà. Scommetto che il problema non sono io né il mio compagno né nessun altro al mondo perché alle persone come te nessuno ha mai lasciato segni addosso. A questo punto mi sorprende che ci sia voluto tutto questo tempo per iniziarti a tingere”

Nonostante fosse chiaro che si stesse sfogando sembrava sincera

“Abitiamo nello stesso palazzo da cinque anni. Non sei un pessimo vicino, tu sei un non-vicino! Adesso rispondimi: se di te non rimanesse traccia chi potrebbe mai smentirmi se dicessi che non sei mai esistito?

Alle spalle di Lei si trovava una finestra. Fuori pioveva forte, il vetro grigio era irrigato costantemente da un temporale battente e l’atmosfera diffusa contribuiva ad incrementare il tono drammatico del monologo. Lui decise di non ribattere, d’altronde era impossibile rispondere, aveva ragione su tutti i fronti e questo non solo era disposto ad accettarlo ma a certe conclusioni era addirittura arrivato lui stesso. Era disposto ad ammettere che aveva condotto fino a qual momento una semi-esistenza, con una sola importante eccezione: lei. Poco prima sul pianerottolo lei lo aveva tratto in salvo. Senza dire una parola, ancor prima di accoglierlo in casa era riuscita a turbarlo smuovendolo dal suo immobilismo emotivo. Nessuno prima d’ora era riuscito ad innescare quell’irreversibile processo di illuminazione che avrebbe ribaltato la sua condizione.
Istintivamente sapeva. Decise che doveva accorciare la distanza che li separava e la strinse in un abbraccio. Non aveva mai provano sin ora, era intenso e straordinario. Non sapeva esattamente con quale scopo lo stava facendo ma sapeva cosa lo aveva spinto. Difficile da spiegare. La sensazione che lo colpì maggiormente, tra le molte che stava sperimentando per la prima volta, era quella di sentirsi semplicemente appagato, senza altri pensieri. Meraviglioso!
Il cibo, la masturbazione ed il riposo erano tutte attività che in passato gli avevano concesso una discreta gratificazione ma nulla era paragonabile. Sarebbe stato come cercare di confrontare la potenza del nucleare con una scatola contenente quei tre fiammiferi.
Quel contatto si protese per un tempo più che prolungato, sembrava che tutto stesse andando per il meglio. Improvvisamente si sentì il petto caldo e bagnato. Pensò immediatamente che un’infiltrazione di liquido azzurro si stesse ora aprendo una strada attraverso il suo sterno. Aveva raggiunto improvvisamente una fase cronica? Abbassando lo sguardo scoprì sconcertato una nuova pozza blu che dalla tonalità scura sembrava provenire da una tristezza ancora più profonda. Si ritrasse all’istante e scoprì con sorpresa di non essere questa volta la sorgente.
Guardava incredulo la ragazza piangere tra le sue braccia quel fiume di tinta. Un cielo così intenso non si era mai visto prima, inteso come la sua pena. La viscosità di quelle lacrime la dicevano lunga su quelle settimane passate al capezzale ad aspettare una parola del medico, un segnale di ripresa. Quel pianto si era fatto talmente scuro e denso da sembrare una colata lavica, pareva potesse scavare sulle sue guance due immensi solchi trascinando a valle tutto quel dolore.
Levando qualche singhiozzo occasionale, da qualche minuto la pioggia battente era l’unico sottofondo nella sala. Sembrava che nulla al mondo avrebbe potuto interromperli. In quel silenzio, ancora stretti, lui la contemplava.
Poteva ammirare tutta la sensibilità di quella giovane donna direttamente nel suo sguardo, quasi messa a nudo in quei grandi occhi bagnati un po’ verdi e un po’ castani, uno specchio di anima. Non riuscendo a fissarla per lungo tempo senza sentirsi inquietato abbassò il volto. Osservando le lacrime arrivare a terra pensò che il pianto fosse infinitamente più dignitoso del suo fluido blu: il dolore di lei sembrava molto più intenso ma al contempo più composto ed accettabile, niente a che vedere con la schifezza con la quale aveva imbrattato il pianerottolo poco prima.
Senza un motivo in particolare gli tornò in mente che anni fa un’attrice rimase ossessionata da un monile azzurro, tutti conoscevano questa storia. Un giorno, dichiarò in seguito la donna, aprendo un cassetto dimenticato, ritrovò un ciondolo che credeva scomparso in mare durante una gita in barca. Prese a indossare quell’oggetto da prima negli eventi più importanti, poi sempre più frequentemente fino a renderlo imprescindibile. Le riviste di moda e spettacolo montarono un caso quando iniziarono a moltiplicarsi bracciali, pendenti e persino anelli realizzati con la stessa pietra. Diceva che portare quel tocco di blu la faceva sentire al sicuro perché come per i fulmini, si dice che non caschino mai due volte nello stesso punto, secondo lei quel monile aveva visitato le profondità azzurre dell’oceano prima di tornare inspiegabilmente al suo posto.
Non sapeva collegare questo racconto bizzarro al momento che stava vivendo. Forse inconsciamente aveva associato alla ragazza che aveva di fronte quel monile azzurro venuto dal fondo del mare. Forse stringendola ancora un poco come fosse un talismano prezioso lei lo avrebbe protetto con il suo dolore più scuro cancellando ogni sua sofferenza … forse.

“Stai piangendo”

Impossibile esordire con qualcosa di più ovvio. Si vergognò per aver pronunciato una simile banalità in grado di stonare con la perfezione di quel momento. L’unica attenuante alla sua ingenua manifestazione di stupore era la natura eccezionale del evento. Se solamente una manciata di persone ogni dieci mila individui soffre un caso di blu nell’arco della loro vita allora quell’istante doveva essere il frutto di una combinazione pazzesca, senza contare che nessuno più aveva versato una lacrima da migliaia di anni! Quali astri si erano allineati per far si che due “fortunati” vincitori della lotteria azzurra si trovassero riuniti nella stessa stanza e nell’istante esatto in cui il dolore fosse esploso nelle loro vite? Molti complottisti sostenevano che i dati del ministero fossero una sottostima dei casi di blu diffusa per tranquillizzare la gente sull’estensione del fenomeno. Aveva sempre deriso questi esaltati. Tuttavia l’improbabilità di quell’evento lo stava spingendo a riconsiderare persino certe assurdità. I suoi pensieri vagavano sconvolti ai confini della ragione. Cosa rimaneva da considerare, il destino? Non si era mai posto questo genere di domande! In ogni caso si rese presto conto di quale stato d’animo, quale confusione poteva suscitare una donna in lacrime tra le braccia.

Vedendolo scosso lei prese l’iniziativa e raccogliendo le forze cercò di abbozzare un sorriso che le uscì un po’ amaro ma pieno di coraggio. Liberandosi delicatamente dalle sue braccia, facendo attenzione a non dare l’impressione di rifiutare quel contatto, si ricompose di fronte a lui. Sfiorandogli la mano la misurava con le sue dita sottili … sembrava concentrata. Quando stava per dire qualcosa uno squillo di telefono improvvisamente squarciò la sala.

“Puoi Scusarmi?”

Lui fece un cenno con la testa facendosi da parte al contempo per permetterle di raggiungere l’apparecchio dietro di sé. Lei intraprese una conversazione che si preannunciava molto lunga e tediosa con un impiegato dell’assicurazione che, avendo riscontrato un errore anagrafico nella domanda di internato del compagno di lei, sembrava voler confermare nuovamente tutti i dati uno ad uno in una procedura sgradevole ed inutile.
Prese a passeggiare per la stanza nell’attesa. Si spostava avanti e indietro costeggiando il divano e posando svogliatamente lo sguardo sulle foto che incontrava esposte intorno a lui. Non aveva mai smesso di tenere premuta sull’addome la garza bianca, sentiva ora un dolore fastidioso come il ricordo di un’ustione che rimane sulla pelle. Aveva letto che poteva accadere quando si perde parecchia tinta soprattutto nei primi giorni. Cercò di non pensarci troppo e spostò la sua attenzione nuovamente su di lei. La sorprese mentre lo guardava pizzicando il cavo del telefono, lei racchiuse il microfono tra le mani e bisbigliando disse:

“Dietro di te c’è una rubrica potresti segnarmi questo numero?”

Poi voltandosi, nuovamente ad alta voce:

“Si certo che sono ancora in linea, un minuto solo”

Di fianco al divano, su una cassettiera in mogano scuro c’era effettivamente una piccola agenda rossa con una penna posata di fronte. Un sorriso gli comparve sottile sulle labbra quando notò con quale ordine era stata lasciata quella biro di fronte alle pagine: perfettamente parallela, proprio come avrebbe fatto lui. Pensò che una volta non avrebbe mai notato questo piccolo indizio, questa sfumatura di carattere altrui, pensò che magari stava finalmente cambiando qualcosa in lui …

“12-54…”

Lei iniziò a dettare prima del previsto ancora girata di spalle. Durante il primo tentativo di segnare il numero la biro lo tradì alla seconda cifra rivelandosi scarica.

“… 54-87…”

Aprendo il cassetto d’istinto: c’erano cancelleria, delle pile, un telecomando, forbici, due elastici per capelli, una penna! Trovò, miracolosamente quasi al primo colpo una seconda penna stilografica. Se la fece andare bene e cacciando sonoramente il cappuccio e stava per posarla sul foglio quando si ritrovò bloccato.
Vedendolo impugnare quella stilo lei si era letteralmente lanciata su di lui per fermarlo. Aveva perfino abbandonato la cornetta del telefono penzolante ed incustodita

“Signora … senza il nuovo codice-paziente non potrà accedere alla cartella …”

Lo sguardo sbarrato di lei mentre teneva le mani strette attorno alle sue, su quella penna lo spaventarono. Si vedeva che era importante per lei, vitale.

“Lascia, ti prego”

L’ansia di quel gesto suggeriva un attaccamento profondo per quell’oggetto. Si ritrasse confuso. Stava solo cercando di aiutarla, che bisogno c’era di reagire in quel modo? Era la seconda volta in pochi minuti che per un motivo o un altro lei scattava nei suoi confronti. Quegli occhi ancora umidi d’azzurro lo stavano innervosendo, lo facevano sentire a disagio perché trasmettevano quella paura. Sentì che voleva andarsene.

“È tardi, forse è meglio se … forse è meglio se tolgo il disturbo”

Si sentiva in difficoltà ad andarsene così ma ormai aveva deciso. Provava un gran dispiacere a lasciarla con quell’aria afflitta: lei aveva un aspetto mortificato ed era evidente che fosse perfettamente consapevole di come quel gesto esagerato lo avesse allontanato.

“Vorrei mostrarti una cosa prima che tu vada, ci vorrà solo un istante poi non ti tratterrò più”

Disse lei forse nell’ultimo tentativo di riavvicinarlo. Lui accettò pensando che fosse il modo più rapido per congedarsi.
Lasciandolo lì solo al centro della stanza lei si allontanò in un secondo. I passi provenivano ora dal corridoio, poi dallo studio. Le case di quel palazzo avevano tutte la stessa pianta ed era facile per chi conosceva un appartamento seguire gli spostamenti dell’altro anche solo ascoltandone i movimenti. Dopo poco si sentì chiamare:

“Vieni”

La raggiunse trovandola di fronte alla porta di un nuovo ambiente dove lei aggiunse solamente:

“Mi spiace per prima non volevo spaventarti. Non mi sono mai sbilanciata in questo modo ma credo di doverlo fare, ho deciso per il tuo bene, perché tu capisca”

Poi aprì.
Nello studio inaspettatamente grande un colossale armadio a muro troneggiava all’interno. Sembrava una biblioteca. Centinaia di volumi si affacciavano sugli spalti come la tifoseria di uno stadio. L’immagine era accurata perché in quel momento si sentiva quella tensione che accompagna gli atleti quando risalgono dagli spogliatoi incontrando il clamore dell’arena. Prese il volume più vicino e tutto si rivelò nella sua chiarezza. Una pagina azzurra.
Preso da una foga indomabile si lanciò in una disperata lettura. Non erano libri ma quaderni, diari, dove leggeva incredulo un volume dopo l’altro un’unica storia.
Il pianto di lei era stato sigillato in quei fogli. Tutto il suo dolore, tutto il dramma, il calvario che l’aveva portata a vedersi sottrarre il compagno. Ogni lacrima era stata raccolta e conservata su quelle pagine.
Finalmente vedeva chiara, mai come ora, la sorgente di tutto quel sentimento, la ragione prima che infine si rivelava: di fronte a lui stava Amore.
Non era propriamente Amore, ma certamente aveva abitato quel luogo. Quel tempio costruito in suo nome rappresentava una prova innegabile della sua grandezza. Era come quelle creature mostruose che popolavano la terra migliaia di anni fa, intrappolate nel fango fino ai nostri giorni. Allo stesso modo Amore si era conservato sottile, tra i fogli, un fossile ben preservato sotto al peso di quelle pagine.
Il dolore era funzionale, era lo strumento di correzione con il quale l’animo doveva bilanciare quell’enorme scomparsa. Si piegò sulle ginocchia crollando a terra.

“Ora che sai, prova anche tu a lasciarti andare, spiega a te stesso cosa ti affligge”

Così dicendo faceva penzolare una nuova stilo di fronte al suo naso. Si avvicinò ancora scoperchiando la garza bianca sul suo addome. Lui si irrigidì ma la dolcezza di lei ebbe subito il sopravvento. Si lasciò toccare. Lei inumidì la punta delle dita nel vivo della sua tristezza. Avvicinandosi a terra vi posò con il polpastrello una goccia sulla superficie creandovi un piccolo isolotto scuro. Sfilando infine il caricatore raccolse quella perla di inchiostro nel pennino che ora nuovamente gli porgeva insieme ad una pagina candida.

“Prova”

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